Astore, l'ultimo volo

Panino
a cura di Panino

nel corso della vita lavorai sovente per conto di froci. come col volantinaggio: il mio primo giorno di lavoro fui subito tastato e zufonato in auto da quel tappetto del datore di lavoro di nome lolino. costui era un vero barattolotto vestito assai elegante con un camiciotto sbottonato alla cima, che ne faceva garrire il pelame scuro come i suoi capelli concentrati sulla ritardata testolina. in auto palpommi, con la scusa di saggiar la stoffa - molto originale - dei miei pantaloni, ne approfittò per dare una raccolta alle mie parti molli - 2 sfere 1 cilindro - ancor non reattive verso lo medesimo sesso. ma pensò lui a tutto esclamando "quale fragranza, qual enfietà di cappuccio, mi scivolerà tutto in bocca?"
adesso che svolgo servizio civile a roma, chi meglio di un culattoncello di testaccio poteva assurgere a responsabile della protezione uscelli? decisi che sarei andato fino in fondo.

ad esempio solo iddio sa quanto mi si stende l'anguillotto, quando tagliuzzo i pulcini morti per le poiane. perché dovete sapere che per spezzettarli occorre dapprima tagliare becco e culo e farne sputar fuori freddo tuorlo digerito: tanti rapaci da imboccare, tanti pulcini (uno ciascuno), tanti corposi schizzetti. e l'odor acre del tuorlo mi riporta immediatamente al retto di nibbio, aquilotto che noi ospitiamo giacché ha la testa ritorta. mi faccio beccare l'uscellino in punta, lì dove affonda il buchetto, glielo porgo fra un polmone di pulcino e qualche coda di ratto. quando ella, giacché femmina è il nibbio, non vuol proprio mangiucchiare, le disegno in sinuosi circoletti col ditarello attorno allì, l'estremo pertugio, che si smove di irregolari pulzioni e si esprime rapido: alzarsi lo mio, aprirsi lo suo è un tuttuno; chiave-serratura. ma bada bene, guglielmino, che se il nibbiorotto ha il becco libero ti si avvinghia sulle pallette turgide..come accadde quando, sodomizzando il gabbiano reale mentre fecava, mi sorprese il responsabile; fui distratto e per poco non mi segava il calippo, giacché il gabbianuzzo ha un becco affilato come il rasoio: ti fa male e t’affetta se lo sfili.

quando arrivò l'astore, allora fu la mia love story, giacché il rapacione di dimensioni quasi aquilesche aveva lo 'rtiglio lungo più di tre centimetri, che a fatica ed a soddisfazione avrei voluto adoperare come schioppa emorroidi e lenitivo per l'anal prurito, tutto associato all'assordante sibilo che l'astore stressato emette.
astore, tu scappavi sempre dalla tua scatola angusta, che la tua possanza era incontenibile,
e io che agognavo un tuo sfregio, una beccata staccafrenulo, ottenni solo fughe su fughe; fuggivi e non attaccavi.
io t'osservavo sempre, nel sorprenderti fuggiasco, maestoso, eretto. oh, saperti ricoperto ed imbrattato della mia!
poi guaristi, e fu la liberazione presso l'oasi di castel di guido, una domenica alle 10:00. aprimmo la tua scatola, saltasti sul prato e spiccasti l'ipoerbolico pianeggio; falcone spiralizzante io ti seguivo con ricerca d'occhio, quando tu, raggiunta la cima del tuo volo, colasti a picco, sfrecciasti su di me, infilzasti funesto di striscio la spolpa carne dorsale della mia mano; ne sottraesti un lembicino allontanandoti subitaneo con la predina pendula fra gli 'rtigli e piantasti in cuor mio quella ferita, che ancor adesso, quando taglio i pulcini per allocchi, barbagianni, assioli, mi allucina fra cotanta avifauna, che tu sei ancora lì, entro lo scatolo (ormai enfio di piccioni) e che da un momento all'altro, potente disquatri, mi afferri, mi attracchi dalle arterie del polso, e mi porti via, lontano di questo ospedale per obiettori.

 

I Dolori del Giovane Wilhelm