Frappa 2

Tracca
a cura di Tracca

Una Frappa per San Valentino, ricoperta di miele fino alla nausea. Buona carie.

L'ostinazione

“Que calor, puta madre…”. Era la sua litania, il suo irriverente rosario quotidiano, imparato chissá quanti anni addietro da un peone a cavallo di passaggio per quelle lande infuocate e che dalle sue parti si era fermato ad espletare qualche misterioso rito totemico. Fino a quel momento il caldo torrido del giorno, cosí come il gelo tagliente della notte, era stato per lui una presenza scontata, appartenente all’ordine naturale delle cose in quella sventurata terra in cui la sorte gli aveva assegnato il ruolo di esistere. Ma da quel giorno, da quel raro ed inatteso incontro, aveva potuto dare un nome a quella sensazione. “Que calor, puta madre…”.

Rari, rarissimi gli incontri con forme di vita da quelle parti, almeno fino a quando, a un tiro di schioppo dalla sua terra, venne costruita la ferrovia. I lavori si protrassero per numerosi anni, lenti e snervanti come tutto il resto lí intorno e lui continuó ad osservarli con curiositá, chiedendosi a cosa mai servisse quella infinita distesa di ferro e pietre.

Un giorno la ferrovia fu finita e il primo treno attraversó il deserto. Ebbe sincero spavento all’avvicinarsi di quel mostro di ferro fumante e rumoroso, ma non ebbe neanche il tempo di riprendersi dal trauma iniziale che giá il rumore era diminuito e il fumo svanito nel cielo. Quello dunque era il treno, il cavallo dei tempi nuovi.

Non che con l’avvento della ferrovia le occasioni di incontro fossero poi aumentate, dato che il passaggio dei convogli era estremamente diradato nel tempo. Ma aveva imparato a non avere piú paura dell’arrivo del treno ed anzi aveva imparato ad attenderlo cercando di cogliere i volti delle persone che lo popolavano e che spesso si affacciavano ai finestrini per godere della vista di quel crudele ma splendido paesaggio.

Fu in un giorno particolarmente arido e torrido che la vide per la prima volta. Affacciata al finestrino spalancato, i corti capelli ricci sconvolti dal vento, gli occhi sgranati nonostante la polvere, una bimbetta di pochi anni che passando di lí lo guardó, ne era sicurissimo. Non aveva lo sguardo fisso sul vasto orizzonte che si presentava ai suoi occhi, guardava proprio in sua direzione e gli sembrava che cantasse. Non che la sua voce potesse mai giungergli, soffocata com’era dal metallico stridore del treno, ma ebbe la nettissima sensazione che lei stesse cantando per lui.
L’emozione per poco non lo stroncó. Mai nessuno finora gli aveva rivolto la parola ed ora un angelo gli aveva addirittura donato un canto che non aveva potuto ascoltare ma che era sicuro esistesse e forse stava ancora dissolvendosi nel cielo intorno a lui.
Si sentí mancare e fece enorme difficoltá a trovare un rivolo d’acqua a cui dissetarsi. Mentre sentiva le forze tornargli pensó che alla sua etá emozioni del genere possono essere fatali e che avrebbe dovuto fare piú attenzione, ma subito la sua mente si spostó alla misteriosa bambina che cantava per lui.

Quel pensiero lo occupó giorni e notti intere per mesi, e ad ogni passaggio del treno sperava di rivedere la sua bimba. Ogni giorno la speranza di rivederla si affievoliva e con essa la sua voglia di continuare a vivere.
Ma una sera, alcuni mesi dopo, la vide che faceva col treno il percorso inverso a quello dell’altra volta. Era lei, la riconobbe subito, era ancora affacciata come la volta scorsa, sorrideva ma non cantava. Posó ancora una volta lo sguardo su di lui e il sorriso le si allargó, sollevó una mano e la agitó lentamente, come se… sí, come se lo stesse salutando. Si sentí impazzire di gioia, nemmeno l’ultima breve pioggia di 15 anni prima lo aveva tanto rallegrato, si sentí secoli piú giovane, decise che avrebbe continuato a vivere per lei.

La rivide ancora quasi sei mesi dopo, ma quella lunga attesa non gli aveva assolutamente pesato; e altrettanto puntualmente sei mesi dopo fece il percorso inverso. E sempre il suo sguardo era posato su di lui, come se anche per lei quello fosse diventato un appuntamento irrinunciabile.

La bimba cresceva, si fece ragazzina e poi donna e, nonostante il progresso garantisse di anno in anno treni piú veloci, riusciva sempre a vederla sfrecciare davanti a sé, e quei pochi secondi gli davano la forza per aspettarla per altri sei mesi.

Una volta peró passó un intero anno senza che la vedesse. Passato il tempo del solito passaggio speró prima in un ritardo di qualche giorno, poi di qualche settimana, ma di lei non ci furono tracce. Che lo avesse dimenticato? Che non si spostasse piú col treno? La disperazione lo riavvolse e questa volta sapeva che non avrebbe avuto scampo.

Decise di giocare la sua ultima carta, sperando che il fato gli fosse amico. Il vento, tanti anni prima, gli aveva portato la storia di suoi simili che, sentendo sopraggiungere il momento della fine, utilizzavano tutte le loro residue energie per far crescere un meraviglioso fiore, impresa ardua e folle in quelle condizioni climatiche. Decise che il suo fiore sarebbe stato pronto per il prossimo presunto passaggio del suo caro angelo e che quello sarebbe stato l’ultimo suo dono a quegli occhi che tante volte si erano posati su di lui.

Era veramente un’impresa suicida. Giá dopo poche settimane sentiva che lo sforzo lo stava sfiancando, e dopo un paio di mesi era irriconoscibile, rinsecchito, stanco, ammalato. Tutto di sé e intorno a sé era prossimo alla morte, ad eccezione della zona in cui stava facendo crescere il suo fiore.

Venne il tempo del passaggio della sua adorata e il fiore, finalmente aperto e splendido, era quasi una oscena beffa a colui che lo aveva cresciuto, ridotto quasi in polvere. I suoi momenti di luciditá si limitavano ormai ai pochi secondi del passaggio dei treni, nella speranza di vederla un’ultima volta.

Il giorno che accadde si era ormai rassegnato alla inutilitá del suo gesto disperato. E invece la vide, affacciata con i capelli al vento come la prima volta e questa volta, ne era sicuro, cantava. Ma proprio un attimo dopo essergli passata davanti lei tacque, corse dentro al treno e dopo un secondo l’intero mostro nero frenó con un rumore indescrivibile. Tra le laceranti bestemmie del macchinista e le grida di terrore dei passeggeri che temevano un’imboscata, dopo poco il treno fu fermo. L’unica cosa che sentí fu un grido: “ma chi è quell’idiota che ha tirato il freno di emergenza?”, poi la vide. La vide scendere e correre verso di lei, inseguita da un bellimbusto che le gridava di fermarsi.

Lei si fermó, sí, ma a un solo passo da lui e da quel fiore meraviglioso. Era senza parole e le tremavano le labbra. Lui avrebbe voluto gridarle la sua gioia nel vederla finalmente da vicino, bella come l’aveva sempre sognata, ma non ne aveva la minima forza.

Dopo pochi secondi il bellimbusto furioso la raggiunse e le chiese quasi gridando: “Ma si puó sapere che ti prende? Siamo in ritardo, stasera devi cantare al Teatro Nacional e tu fermi il treno per venire a vedere un cactus morto in mezzo al fottuto deserto?”.

Lei si giró e il suo sguardo si posó sulla guancia di lui come fosse un rasoio. “Dammi il coltello” gli disse poi. “Cosa?”, rispose lui tra il seccato e l’incredulo. “Dammi il coltello che hai in tasca, idiota!”. E lo sfregió con un secondo sguardo.

Lui le porse il piccolo coltello a serramanico che portava sempre con sé e fece un passo indietro nel caso lo sfregio volesse farglielo davvero. Lei prese il coltello, estrasse la lama e inizió a recidere la parte del cactus sulla quale spuntava quel fiore di bellezza irreale. E mentre con lentezza procedeva in quella dolorosa amputazione, disse a mezza voce: “E’ da quando avevo 7 anni che vedevo questo cactus qui, e ogni volta che prendevo il treno con la mamma mi affacciavo a guardarlo, cosí assurdamente solitario in mezzo al deserto. Mi faceva sempre una grande tenerezza. Ora mi ha voluto fare un regalo prima di morire.” Il bellimbusto avrebbe voluto dirle di piantarla con certe cazzate e di muoversi, ma poi pensó al coltello nelle sue mani e decise di dirle con tutta la finta gentilezza di cui era capace: “Una bellissima storia, davvero, ma adesso andiamo, che non possiamo tenere il treno fermo qui in mezzo al deserto per sempre”.

La vide allontanarsi e portare con sé l’ultima parte viva che gli era rimasta. La lama che lo aveva trafitto non gli aveva fatto male, anzi quel taglio era stato l’ultima sensazione dolce della sua esistenza. Era felice, felice perché quel fiore, quel suo fiore per il quale si era completamente sacrificato, si trovava in quel momento nelle mani di lei. E se anche lei se ne fosse dimenticata dopo pochi minuti non avrebbe importato nulla, perchè quegli attimi passati tra le sue mani rappresentavano per lui il solo vero senso della sua lunga vita.
 

Amsterdam, Quattordici Febbraio Duemiladue.
Roma, Quattordici Febbraio Duemilatre.

 

 

Frappe by Tracca